- Settembre 24, 2020
- Posted by: Andrea Stasio
- Categoria: Rassegna Stampa

https://roma.corriere.it FONTE: Corriere della Sera
Da Cola di Rienzo ai Parioli, le voci e i silenzi. Molti lamentano gli spostamenti di alcune postazioni decisi dal Comune: gli stalli sarebbero stati dislocati in zone «non commerciali», meno redditizie secondo i titolari del permesso.
«Non so nulla». «L’inchiesta è vecchia». «Le “mele marce” e i “prepotenti” ci sono ovunque». Non sembrano stupiti dell’inchiesta sul racket delle bancarelle gli ambulanti romani. «Noi con loro non c’entriamo nulla», afferma Leo, un banco di camicie e vestiti ieri al mercato di via Tito Speri, «e questa inchiesta va avanti da almeno un anno e mezzo». Il vero problema per lui, e lo ripetono tutti, è un altro: sono gli spostamenti attuati ultimamente dal Campidoglio «perché ha dato postazioni non commerciali rispetto alle precedenti che erano più commerciali», come nel caso del trasferimento da piazza Vittorio al mercato «Viminale» di via Balbo. In sintesi: «Ci hanno tolto molto lavoro».
In viale Parioli, Alessandro Nencini, una postazione per la vendita di maglieria, ricorda che «nell’ambito delle rotazioni i titolari si sono sempre scambiati i posteggi fra di loro per comodità», ma «oggi non è più possibile per le delocalizzazioni. Da commerciali molti posteggi sono diventati non commerciali, si sono venuti a creare dei vuoti e alla fine lavoriamo tre giorni su sei». Ma l’inchiesta sul racket? Mai saputo nulla? «No, mi spiace».
Bocche più che cucite in via Cola di Rienzo: «Siamo in una situazione difficile», è l’unica cosa che ammettono al banco di borse e cinture, «ci vogliono pure trasferire da qui». E poco più lontano, dove sono effettivamente le postazioni fisse, in via di Porta Angelica e in piazza Risorgimento, a malapena chi vende parla italiano, perché non sono i titolari dei banchi. Così come non parla il venditore di oggetti indiani in via Ottaviano o i venditori di vestiti in viale Giulio Cesare.
In via Sabotino, invece, Massimo, una licenza per la vendita di biancheria e calzini, scuote la testa: «Come in tutti i lavori ci può essere del marcio. Ma la cosa non mi riguarda: questo banco l’aveva mio padre dal 1950 ed io sono subentrato nel 1992, sono quindi settanta anni che giriamo per Roma. Poi, come ovunque, ci sono i prepotenti».
Anche i loro rappresentanti dicono di aver letto dell’inchiesta dai giornali. «Come Ana, Associazione nazionale ambulanti, non ne eravamo a conoscenza e nemmeno i nostri iscritti hanno mai detto “siamo taglieggiati”», afferma Angelo Pavoncello, vicepresidente dell’Ana-Ugl: « La nostra struttura mette al prima posto la legalità». Neppure mai sentito dire? «Nemmeno. Siamo solidali con chi ha subito le ingiustizie, confidiamo nella magistratura». Valter Papetti, presidente della Fiva – Confcommercio di Roma dice: «Siamo sempre stati lontani da queste situazioni. Ma qui le cose si sono complicate perché non si riesce ad avere un dialogo con l’amministrazione».
E il presidente nazionale della Fiva, Giacomo Errico aggiunge: «Ripristinare la legalità del commercio romano è necessario e imprescindibile». Incalza la Confartigianato con il presidente Andrea Rotondo: «Il quadro preoccupante che si va delineando conferma la necessità di una semplificazione delle norme», e il presidente di Anva Confesercenti Maurizio Innocenti aggiunge: «Se le accuse dovessero essere confermate ci troveremmo di fronte a un quadro gravissimo di illegalità. Una situazione di degrado che colpisce per primi gli ambulanti onesti che sono la maggioranza».