- Luglio 24, 2020
- Posted by: Andrea Stasio
- Categoria: Rassegna Stampa

FONTE: Corriere Della Sera
Tra gennaio e marzo di quest’anno le imprese artigiane si sono ridotte dello 0,7 per cento ovvero sono sparite 413 aziende. Tra i più colpiti, con perdita di oltre 90 unità, i settori della produzione, mentre tengono l’edilizia e i servizi alla persona
«La situazione dell’artigianato romano dopo il Covid è estremamente preoccupante». Le parole del presidente di Confartigianato Andrea Rotondo, vengono confermate da dati e numeri. Secondo una ricerca di Infocamere, infatti, nel primo trimestre del 2020 vi è stata a Roma una riduzione delle imprese artigiane dello 0,7%: da 66.190 sono scese a 65.777. Ovvero in un solo trimestre sono sparite 413 aziende, e «molto peggio prevediamo che saranno i dati di settembre – aggiunge – l’artigianato romano si sta impoverendo, e non tanto per la riduzione del numero delle imprese ma soprattutto per la percezione che essere “artigiano” non procura nessun vantaggio a differenza di quanto stabilisce l’articolo 45 della Costituzione, “La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato”».
La fotografia della crisi mostra come particolarmente colpiti continuano ad essere i settori della produzione (falegnami e fabbri si sono ridotti di oltre 90 unità), mentre tiene l’edilizia ed il settore dei servizi alla persona. Per la prima volta, inoltre, diminuiscono le imprese del settore alimentare anche se solo di 20 unità. Che succede? «Analizzando la situazione», risponde il presidente di Confartigianato, «vediamo come i parrucchieri e i centri estetici sono quelli che si sono ripresi più rapidamente dopo il Covid, ed a maggio in due settimane hanno fatto lo stesso fatturato di tutto il mese di maggio dell’anno precedente».
Anche l’edilizia può contare su un futuro meno nero grazie al bonus del 110% per le ristrutturazioni: «Potrebbe essere il vero valore aggiunto per far ripartire il settore, con l’impiantistica e la sostituzione delle caldaie». Dove si teme di più è invece nell’ alimentare, perché pizzerie a taglio, gelaterie o paninerie, non possono mettere i tavoli all’aperto come bar e ristoranti: «Noi chiediamo – dice Andrea Rotondo – che il Comune tratti anche il settore alimentare artigianale come ha trattato la ristorazione, permettendo la possibilità di avere dei tavoli all’aperto. È ora di superare le limitazioni nella zona Unesco: la delibera del 17 aprile 2018, fatta per limitare il degrado, si sta mostrando in questo momento storico limitante».
Se poi si raffrontano i dati di oggi con quelli di 8 anni fa «il quadro risulta ancor più preoccupante». Oggi ci sono 3399 imprese in meno (66.471 contro 70.090) con i settori produttivi (legno, abbigliamento, ferro ecc) che si sono ridotti del 40%.
Nel 2012 a Roma operavano 1700 falegnami oggi sono 931, i fabbri erano 2100 mentre oggi sono 1400, le imprese di trasporto si sono ridotte di 1.000 unità e il mondo della ristorazione da asporto si è ridotto da 3100 a 2864 imprese. Eppure nello stesso periodo, il totale delle imprese è cresciuto di 32.766 unità, con il settore dei servizi alla persona (parrucchieri, estetisti) è cresciuto di 1800 unità.
Nell’ultimo trimestre poi si registra la chiusura di 16 sartorie su 828,mentre nella tappezzeria si riscontra una riduzione superiore all’1% l(344 in tutto); la lavorazione del legno si è ridotta di 497 unità. Stessa situazione nella lavorazione del ferro (meno 434 imprese).
Che fare? «Sostegno alla domanda interna», è la risposta di Andrea Rotondo, «finora mai al centro del modello di crescita perché si è puntato alla competitività sui mercati esteri».
FONTE: Corriere Della Sera